In particolare dopo la ferrea posizione di Francia e Spagna contro le parole del papa verso il preservativo come metodo sicuro contro l'AIDS, nella mia semplicità ho provato a fare qualche riflessione in merito.
Facciamo qualche esempio....
Se mi metto il giubbotto antiproiettile ma partecipo ad una sparatoria posso essere sicuro di non essere colpito in modo grave oppure oppure ho solo qualche probabilità in meno ??
Se mi metto le cinture di sicurezza e vado a 200 allora in autostrada giudando in modo spericolato sono sicuro che se avessi un incidente non ne rimarrei coinvolto in modo grave ?
Se ho rapporti a rischio e mi metto il preservativo posso essere sicuro di non prendere l'AIDS ??
E' qui credo il problema, certo che il preservativo mi può aiutare ad avere qualche probabilità in meno di prendere l'AIDS ma non è, a mio avviso, la soluzione definitiva. Credo che la vera medicina per combattere l'AIDS è quella di cambiare le abitudini e i forti comportamenti a rischio presenti nelle popolazioni Africane per loro cultura storica e questo cambiamento è possibile farlo solo parlando al cuore dell'uomo.
Insomma il messaggio non può e non deve essere metti il preservativo e vai tranquillo (mettiti le cinture e guida pure in modo spericolato) ma è un più ampio ragionamento su una corretta educazione sessuale.
Vi lascio con l'articolo che ha dato spunto a questo pensiero è scritto da un medico, poi ognuno tragga le sue considerazioni...
Articolo preso integralmente da Il sussidiario.net per il link diretto all'articolo clicca qui
AIDS/ Ecco perché il preservativo non difende dal contagio
venerdì 20 marzo 2009
Nel dibattito di ieri sulle parole del Papa a Yaoundè dedicate alla prevenzione dell’AIDS in Africa è stata omessa l’evidenza scientifica. Peraltro molto scarsa sul ruolo del condom nella prevenzione/riduzione della pandemia.
Come hanno scritto dall’Uganda Filippo Ciantia e Rose Busingye su Lancet nel Marzo 2008, «la posizione tradizionale Cattolica sui condoms e l’AIDS è la più ragionevole e la più solida scientificamente nella prevenzione dell’epidemia di AIDS».
In Uganda, paese simbolo dell’Africa sub-sahariana per la riduzione della prevalenza di sieropositivi dal 20 al 6%, l’approccio “ABC” all’AIDS (Abstain, Be faithful, use Condoms, cioè Astinenza, Fedeltà, Preservativi) è stato centrato su A e B e i dati sul declino della sieroprevalenza sembrano avvalorare questa scelta. «Il governo Ugandese – sostiene Stoneburner medico consulente dell’agenzia americana di cooperazione USAID – ha promosso A e B riducendo del 65% il casual sex, con una riduzione della prevalenza HIV del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del 54% nel complesso».
Studi delle più importanti riviste scientifiche dimostrano che il declino dell’HIV in Uganda è attribuibile alla riduzione dei rapporti casuali cioè l’adesione alla B. In Uganda, Kenya e Zambia il cambiamento di comportamento in particolare la riduzione dei rapporti casuali e premaritali ha comportato una riduzione della sieroprevalenza.
Lo stesso Lancet nel gennaio 2000 aveva paragonato il preservativo alle cinture di sicurezza che offrono una falsa percezione di protezione: infatti negli anni ’70 dopo averne introdotto l’obbligo aumentarono gli incidenti per l’aumento dei comportamenti a rischio. Concludeva l’articolo: «ci dovremmo chiedere perché la promozione del preservativo non ha effetto nei paesi del terzo mondo e se abbiamo il giusto equilibrio tra questi messaggi e quelli sull’invito alla riduzione dei partner».
«Dopo 20 anni di pandemia, non c’è alcuna evidenza che più preservativi portino a meno AIDS» secondo Edward Green dell’ “Harvard's' Center for Population and Development Studies”. Norman Hearst della University of California San Francisco segnala un pattern allarmante di correlazione tra l’aumento della vendita di preservativi in Kenya e Botswana con un incremento della sieropravalenza da HIV. «Le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%, ma si stanno educando generazioni di giovani in Africa che credono che sia sufficiente. Quello che conta è il numero dei partner.»
In una review di 134 studi Monsignor Jacques Suaudeau del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostiene che l’espressione “safe sex” usata per definire rapporti protetti debba essere sostituita più realisticamente da “safer sex”.
L’approccio comportamentale all’epidemia è stato sostenuto sin dall’inizio dal presidente Ugandese Yoveri Museveni che nel 1992 al congresso Mondiale sull’ AIDS a Firenze affermò: «In paesi come i nostri, dove una madre spesso deve camminare per 40 km per ottenere un’aspirina per il figlio malato o 10 km per raggiungere l’acqua, la questione pratica di garantire una costante disponibilità di preservativi o il loro uso corretto non potrà mai essere risolta. Io credo che la miglior risposta alla minaccia dell’AIDS consista nel riaffermare pubblicamente e chiaramente il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. Dobbiamo educare i giovani alle virtù dell’ astinenza, dell’ autocontrollo e del sacrificio che richiede innanzitutto il rispetto per gli altri».
Gli interventi di prevenzione dell’HIV in Uganda (in particolare la riduzione dei partner) nell’ultima decade hanno avuto l’effetto simile ad un vaccino medico efficace all’80%. Stoneburner lo definisce un vaccino sociale.
Lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni più recentemente attaccò la distribuzione di preservativi ai bambini delle scuole elementari descrivendola pericolosa e disastrosa. «Non bisogna insegnare ai bambini come usare i preservativi. Aprirò una guerra sui venditori di condom. Invece di salvare vite umane promuovono la promiscuità tra i giovani. La promiscuità è la maggiore causa di diffusione dell’HIV/AIDS. I bambini a scuola dovrebbero essere educati alla ricerca di un partner per una relazione stabile per tutta la vita». Già nel 2004 in un report dal titolo Imparare a sopravvivere: come l’educazione per tutti salverebbe milioni di giovani dall’AIDS, consegnato al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, l’Organizzazione Non Governativa britannica Oxfam stimava che, se tutti i bambini nel mondo avessero potuto completare l’educazione elementare, attraverso un accelerazione del cambiamento comportamentale, si sarebbero potuti prevenire 7 milioni di casi di infezioni da HIV nei 10 anni successivi. La ricerca svolta da Oxfam dimostra che i giovani tra i 15 e i 24 anni con educazione primaria hanno meno del 50% di possibilità di contrarre l’HIV di quelli senza educazione. «Sapevamo che c’era una correlazione tra livello di educazione e prevalenza di HIV – ha detto Mike Lawson che ha lavorato al report - ma non immaginavamo quanto l’educazione fosse importante per qualunque programma di prevenzione. Senza un’azione urgente, ci vorranno 150 anni prima che ogni bambino in Africa possa frequentare la scuola elementare. Rimandare oggi questo investimento significherà un incremento della povertà domani e condannerà i paesi colpiti dall’HIV a un futuro di sottosviluppo e dipendenza senza uscita».
In un articolo del prestigioso British Medical Journal dal titolo La riduzione dei partner è cruciale per un approccio ABC bilanciato alla prevenzione dell’HIV, è stato sottolineato che «sembra ovvio, ma non ci sarebbe una pandemia di AIDS se non fosse per partnerships sessuali multiple». Gli autori sottolineano che nonostante l’evidenza di come la riduzione dei partner e la monogamia possa ridurre la diffusione dell’HIV, molti programmi danno poca attenzione a questi mezzi. «Noi crediamo che sia imperativo iniziare ad includere messaggi sulla fedeltà reciproca e la riduzione dei partner nelle attività volte al cambiamento comportamentale sessuale».
venerdì 20 marzo 2009
Nel dibattito di ieri sulle parole del Papa a Yaoundè dedicate alla prevenzione dell’AIDS in Africa è stata omessa l’evidenza scientifica. Peraltro molto scarsa sul ruolo del condom nella prevenzione/riduzione della pandemia.
Come hanno scritto dall’Uganda Filippo Ciantia e Rose Busingye su Lancet nel Marzo 2008, «la posizione tradizionale Cattolica sui condoms e l’AIDS è la più ragionevole e la più solida scientificamente nella prevenzione dell’epidemia di AIDS».
In Uganda, paese simbolo dell’Africa sub-sahariana per la riduzione della prevalenza di sieropositivi dal 20 al 6%, l’approccio “ABC” all’AIDS (Abstain, Be faithful, use Condoms, cioè Astinenza, Fedeltà, Preservativi) è stato centrato su A e B e i dati sul declino della sieroprevalenza sembrano avvalorare questa scelta. «Il governo Ugandese – sostiene Stoneburner medico consulente dell’agenzia americana di cooperazione USAID – ha promosso A e B riducendo del 65% il casual sex, con una riduzione della prevalenza HIV del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del 54% nel complesso».
Studi delle più importanti riviste scientifiche dimostrano che il declino dell’HIV in Uganda è attribuibile alla riduzione dei rapporti casuali cioè l’adesione alla B. In Uganda, Kenya e Zambia il cambiamento di comportamento in particolare la riduzione dei rapporti casuali e premaritali ha comportato una riduzione della sieroprevalenza.
Lo stesso Lancet nel gennaio 2000 aveva paragonato il preservativo alle cinture di sicurezza che offrono una falsa percezione di protezione: infatti negli anni ’70 dopo averne introdotto l’obbligo aumentarono gli incidenti per l’aumento dei comportamenti a rischio. Concludeva l’articolo: «ci dovremmo chiedere perché la promozione del preservativo non ha effetto nei paesi del terzo mondo e se abbiamo il giusto equilibrio tra questi messaggi e quelli sull’invito alla riduzione dei partner».
«Dopo 20 anni di pandemia, non c’è alcuna evidenza che più preservativi portino a meno AIDS» secondo Edward Green dell’ “Harvard's' Center for Population and Development Studies”. Norman Hearst della University of California San Francisco segnala un pattern allarmante di correlazione tra l’aumento della vendita di preservativi in Kenya e Botswana con un incremento della sieropravalenza da HIV. «Le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%, ma si stanno educando generazioni di giovani in Africa che credono che sia sufficiente. Quello che conta è il numero dei partner.»
In una review di 134 studi Monsignor Jacques Suaudeau del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostiene che l’espressione “safe sex” usata per definire rapporti protetti debba essere sostituita più realisticamente da “safer sex”.
L’approccio comportamentale all’epidemia è stato sostenuto sin dall’inizio dal presidente Ugandese Yoveri Museveni che nel 1992 al congresso Mondiale sull’ AIDS a Firenze affermò: «In paesi come i nostri, dove una madre spesso deve camminare per 40 km per ottenere un’aspirina per il figlio malato o 10 km per raggiungere l’acqua, la questione pratica di garantire una costante disponibilità di preservativi o il loro uso corretto non potrà mai essere risolta. Io credo che la miglior risposta alla minaccia dell’AIDS consista nel riaffermare pubblicamente e chiaramente il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. Dobbiamo educare i giovani alle virtù dell’ astinenza, dell’ autocontrollo e del sacrificio che richiede innanzitutto il rispetto per gli altri».
Gli interventi di prevenzione dell’HIV in Uganda (in particolare la riduzione dei partner) nell’ultima decade hanno avuto l’effetto simile ad un vaccino medico efficace all’80%. Stoneburner lo definisce un vaccino sociale.
Lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni più recentemente attaccò la distribuzione di preservativi ai bambini delle scuole elementari descrivendola pericolosa e disastrosa. «Non bisogna insegnare ai bambini come usare i preservativi. Aprirò una guerra sui venditori di condom. Invece di salvare vite umane promuovono la promiscuità tra i giovani. La promiscuità è la maggiore causa di diffusione dell’HIV/AIDS. I bambini a scuola dovrebbero essere educati alla ricerca di un partner per una relazione stabile per tutta la vita». Già nel 2004 in un report dal titolo Imparare a sopravvivere: come l’educazione per tutti salverebbe milioni di giovani dall’AIDS, consegnato al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, l’Organizzazione Non Governativa britannica Oxfam stimava che, se tutti i bambini nel mondo avessero potuto completare l’educazione elementare, attraverso un accelerazione del cambiamento comportamentale, si sarebbero potuti prevenire 7 milioni di casi di infezioni da HIV nei 10 anni successivi. La ricerca svolta da Oxfam dimostra che i giovani tra i 15 e i 24 anni con educazione primaria hanno meno del 50% di possibilità di contrarre l’HIV di quelli senza educazione. «Sapevamo che c’era una correlazione tra livello di educazione e prevalenza di HIV – ha detto Mike Lawson che ha lavorato al report - ma non immaginavamo quanto l’educazione fosse importante per qualunque programma di prevenzione. Senza un’azione urgente, ci vorranno 150 anni prima che ogni bambino in Africa possa frequentare la scuola elementare. Rimandare oggi questo investimento significherà un incremento della povertà domani e condannerà i paesi colpiti dall’HIV a un futuro di sottosviluppo e dipendenza senza uscita».
In un articolo del prestigioso British Medical Journal dal titolo La riduzione dei partner è cruciale per un approccio ABC bilanciato alla prevenzione dell’HIV, è stato sottolineato che «sembra ovvio, ma non ci sarebbe una pandemia di AIDS se non fosse per partnerships sessuali multiple». Gli autori sottolineano che nonostante l’evidenza di come la riduzione dei partner e la monogamia possa ridurre la diffusione dell’HIV, molti programmi danno poca attenzione a questi mezzi. «Noi crediamo che sia imperativo iniziare ad includere messaggi sulla fedeltà reciproca e la riduzione dei partner nelle attività volte al cambiamento comportamentale sessuale».
(Andrea Costanzi, medico chirurgo)
ottimo inizio Paolo!
RispondiEliminagrazie a te di arricchire questo sito